Rubriche : romanzo rossonero
martedì, 24 aprile 2018, 18:06
di simone pellico
Caldo. Sui gradoni del Porta Elisa, battuti dal sole come i tasti di un pianoforte. La primavera tanto invocata, sembra essere scappata col primo che passava. E’ aprile e sembra luglio. Lo dicono giovani mamme nelle vie del centro, con i bambini attaccati alla bicicletta come la roba sul cruscotto della macchina. Lo dicono anziani nascosti all’ombra di una siepe, di un ombrellone, di una croce. Lo dicono le rondini che nemmeno in stormo fanno più primavera. I piccioni lobotomizzati come zombie nelle strade alla ricerca di un angolo scuro. Lo dicono i tetti bollenti. Le tegole arse. Le strade di pietra, di asfalto, di buche. Sembra che tutto stia crollando. Dove ti giri una crepa, un dolore, una scusa. Scusa, l’avrei voluto dire tante volte. L’ho detto tante volte. Spesso troppo tardi. Come uno che entra dietro le quinte a sipario calato. E’ chiuso, ritorni un altro giorno. Un altro anno. Forse mai. La primavera è castana, gli occhi scuri e i denti chiari. Ha nuvole nel cielo e fiori nella voce. Le spine intorno al cuore. Ha il potere di creare e di distruggere. Fuma sigarette che spegne sui sedili delle panchine, sui cestini appoggiati ai muri, sulle mani degli amanti. Degli amati. Degli odiati. Dei maledetti. Segni come semi che non sbocciano. Cicatrici di un eterno inverno. Aspetta un’altra primavera, Bandini.
Caldo. Mentre Lucchese e Olbia si dispongono come i giocatori del Subbuteo a Ragioneria vanno in scena prove di tribunale speciale. Il sistema crea figli irrisolti e arroganti e poi li lascia drasticamente in fuorigioco. Dopo decenni di distruzione sistematica dell’autorità, dei ruoli, delle gerarchie. Dopo secchiate di pioggia acida sull’uomo, sul ruolo del padre, sull’essenza del maschio. Dopo aver derubricato il professore ad amico, la bacchettata a pacca sulla spalla, il giudizio in sensazione, l’oggettivo a soggettivo. Dopo aver viziato, sedato, anestetizzato le generazioni e tracciato scorciatoie invece che solchi di fondazione. Ecco che i “giovani che ci dovevano salvare” sono diventati il prodotto conforme di questo sistema. Di questo agente provocatore, che dopo aver benedetto ogni passo in questo deserto esistenziale si scopre repressore inflessibile. Lucca è diventata famosa nel mondo per i “bulli” di Ragioneria, che in quanto emblema di un fallimento collettivo diventano capro espiatorio per negare il fallimento stesso. Non solo bocciati, ma perquisiti a casa. Non solo sospesi e offesi, ma denunciati per reati immaginari, come il “tentato furto” del tablet del professore vilipeso in assenza della volontà di rubare. Nel paese dell’impunità questi giovani non devono farla franca. Peccato non ci sia più la pena di morte, i social avrebbero votato l’impiccagione in piazza Grande. Le televisioni avide vogliono innalzare gogne mediatiche verso i figli del diavolo. Sociologi, conduttori, provveditori, politicanti, circensi salgono in cattedra trovando così un ruolo. Il loro business. I “bulli” non vanno puniti, vanno distrutti. Hanno quindici anni, devono essere marchiati per il resto della loro vita. Loro, il raccapricciante risvoltino alle caviglie in un mondo alluvionato.
Caldo. I sette tifosi olbiesi presenti hanno visto ancora una volta il mare azzurro del Tirreno. Ora guardano quello verde del campo da calcio. Uno sguardo velato da lenti scure, da una notte insonne, da chilometri macinati. Da miglia navigate. A parte che con l’Arzachena, ogni trasferta per loro è il viaggio di Colombo. Fughe d’amore verso il Continente.
La Lucchese il caldo sembra non sentirlo. Inizia a orchestrare bene il gioco e al dodicesimo è già in vantaggio. Lo schema da calcio d’angolo trova gli interpreti giusti: Arrigoni crossa, Buratto incrocia da fuori area. Sugli spalti si canta, e si canterà oltre il novantesimo. L’Olbia soffre la terra ferma e prima della mezz’ora viene infilata da un esterno del principe Fanucchi. E fanno dieci gol per il dieci rossonero. Equazione perfetta.
I sardi mettono paura alla traversa su calcio d’angolo, ma la Pantera oggi non vacilla. Dalla fascia Russu fa decollare un cross che Arrigoni si prende il lusso di colpire di testa. Palo. I due allora provano a scambiarsi di ruolo, e questa volta il giochino funziona. L’ex Arzachena segna così nel suo derby personale. Si toglie la maglia per festeggiare e prendere un po’ di sole, ma l’unica cosa gialla che incontra è il cartellino dell’arbitro. Ma ormai la partita è al tramonto, i tre punti in tasca, i play off un miraggio con qualche contorno più definito. Indefinito invece il destino societario, nonostante la presenza allo stadio del nuovo presunto padrone. Ma la partita in tribuna viene giocata con un mazzo con troppi assi di picche e pochi a denari. Dice che il tempo stia cambiando. Meglio preparare l'ombrello.
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