Detto tra noi

Caro amico ti scrivo...

giovedì, 7 marzo 2024, 14:13

di fabrizio vincenti

Caro Beppe, ho finito di piangere, il primo impulso, inutile nascondersi, è sempre quello: dare sfogo alla sofferenza, alle emozioni attraverso le lacrime. Si fa un bel dire che tutti sapevamo, tu per primo, che la Signora in Nero stava arrivando. Ma una cosa è saperlo, pensarci, soffrirci, un'altra è sentire il suo brivido che ti arriva alle spalle di prima mattina o, come per te, esserne investito in pieno. Le lacrime sono inevitabili, il dolore intenso, l'esserci preparati conta poco. Non è questo il punto, infatti: il punto è che devo asciugare le lacrime. Per forza. Te lo devo, te lo dobbiamo, perché se dovessi portarmi qualcosa di te, mi porterei il tuo umorismo, la tua voglia di vivere e di sorridere. Non certo le lacrime.

Non so più quanti anni di amicizia ci legano, probabilmente oltre 40, qui il tempo vola. E mi pare ieri che ti ricordo a Civitavecchia, in un pomeriggio segnato da un caldo africano. Tu in basso, ovviamente a tifare, io vicino a Maida a dar vita alla mia solita ritualità scaramantica, fatta di mancati respiri, di frasi ripetute, di movimenti del corpo, di silenzi assoluti. Eravamo alla metà degli anni '80, e in quel bunker che è la tua edicola si andava per segnarsi per le trasferte e acquistare i biglietti per le trasferte. Mitici blocchetti di biglietti con la notizia dell'arrivo da te che si spargeva in un baleno, alla faccia dei social di oggi e delle connessioni permanenti. Bastava una telefonata o un cartello affisso con il pennarello (spesso due, ovviamente rossi e neri) alla vetrina per accorrere. E iniziare a sognare il prossimo viaggio, la prossima vittoria. Più probabilmente la prossima delusione.

E' impossibile enumerare le partite che hai visto, le trasferte che hai affrontato: ne ricordo solo una a Carbonia, dove, parole tue, quando ti vide capitan Monaco esclamò: "Ma siete anche qui?". Eri praticamente ovunque, dove non sei andato è perché non potevi veramente o ti avevano impedito di andare. Professione tifoso? Certo, ma non a tempo pieno, a tempo pieno c'era l'amore per la Lucchese e per i tuoi cari, ma tu il pane te lo sei guadagnato per una vita. Vaglielo a spiegare a quei ragazzi che rifiutano i lavori in pizzeria perché avrebbero il sabato occupato, vaglielo a spiegare proprio tu Beppe che ogni santa mattina eri in piedi all'alba. Per una vita. E per una vita eri sino a sera in negozio. Pioggia. Sole. Inverno. Estate. Sempre. 

E in quel bunker era come sentirsi a casa, con le tue freddure (la maggior parte delle quali letteralmente indigeribili, fattelo ripetere come te l'ho detto mille volte), con i tuoi slanci, a volte con le tue fisse, con quell'amore per ogni cane che venisse introdotto in negozio e al quale, immancabilmente, offrivi il biscottino di prammatica. Con quelle guide turistiche della città rivali che esponevi e che "misteriosamente" sparivano, tra le tue scanzonate battute. Con i tanti scherzi fatti e subiti. Con quei caffé al Moka di prima mattina (stavolta chi paga?), quei confronti sull'ultima partita, quelle risate per le freddure imbarazzanti sfoggiate al bar. Con quei fogli immancabilmente compilati ogni giorno successivo alla partita con i voti e i titoli da pubblicare su Gazzetta, ma che regolarmente facevi finta di non aver riempito, salvo buttarmeli in faccia con una battuta e una richiesta di indennizzo per il duro lavoro svolto. Con quei sogni di vedere finalmente vincere la Lucchese, di vederla finalmente in altri palcoscenici. La nostra Lucchese. La tua Lucchese, quella che era nelle foto che tenevi dietro di te. Con Paolo Carina e con il Presidente, con la p maiuscola, Maestrelli. Le guardavo pochi giorni fa, mentre ero in negozio con tua sorella, che è stata straordinaria in questi mesi come gli altri tuoi cari, dietro il banco. Ora sei insieme a Paolo e Egiziano, dopo un cammino di una vita dove le difficoltà di salute non ti sono certo mancate e faccio ancora una volta fatica a non emozionarmi. Sì, le lacrime tornano a scendere, ma le rifermo. Ho la tua risata, le tue battute, la tua voglia di vivere che mi riscaldano. Me le tengo strette. Più che posso. 

 



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