Rubriche : romanzo rossonero

Chi ama il calcio segue la Lucchese, chi lo odia compra la maglia di Ronaldo

lunedì, 20 maggio 2019, 17:04

di alessandro lazzarini

Non c'è dubbio alcuno che il calcio raggiunga l'apice del suo potenziale emotivo nelle partite a eliminazione diretta, siano esse determinanti per la Coppa del mondo o per una salvezza. Sono scontri al termine del quale viene inesorabilmente emesso un verdetto sportivo, minuti in cui la tensione raggiunge i suoi massimi livelli prima di trasformarsi in gioia o delusione capace di restare a lungo nell'umore dei tifosi più passionali.

Appartiene a questo genere di confronti quello che vede opposte Lucchese e Cuneo nel primo turno degli spareggi salvezza del campionato di terza serie, momenti che come appena detto sono l'apice della dimensione sociale e folkloristica che riesce ad assumere questo sport, perché in ballo non c'è più solo il risultato sportivo, ma anche il prestigio e la dignità della comunità rappresentata dalla squadra. E' quella rappresentazione che determina riconoscimento di cui abbiamo parlato molte e che nella sua storia è stata determinante per ritagliare un posto speciale nell'ambito delle discipline sportive al gioco del pallone, che più di ogni altro ha saputo incarnare questo aspetto folkloristico. Ci si aspetterebbe dunque che proprio lo svolgersi di questo genere di dispute sapesse richiamare la mobilitazione del maggior numero di persone, spinte dalla fame di emozioni e dalla necessità di agire, perché nel calcio anche lo spettatore sente in qualche modo di poter influire sui risultati della sua squadra con la presenza, la sua partecipazione al rituale.

Questo è quello che ci aspetteremmo, o meglio è ciò che il calcio è sempre stato fino agli ultimi anni in cui l'accelerata trasformazione del gioco di comunità in industria dei consumi ne ha trasfigurato la natura indirizzando l'interesse quasi esclusivamente verso le multinazionali e il mantra della 'vittoria', ridimensionando così l'interesse particolare delle comunità locali e cancellando quasi completamente il tema del 'riconoscimento' della propria comunità di appartenenza in colori specifici, qualsiasi essi siano e in qualsiasi categoria si dispieghino le loro gesta. 

Al di fuori di questo mutamento antropologico e consumistico del gioco del calcio, ovvero la trasformazione dei tifosi in consumatori, non c'è altra spiegazione per il deprimente (in termini di presenza numerica di spettatori) colpo d'occhio offerto dal Porta Elisa nella prima di queste sfide decisive. Eppure basta volgersi indietro di pochi anni per ricordarsi che nemmeno in partite di fine stagione senza alcun significato sarebbe stato immaginabile uno stadio così deserto. E' uno stillicidio di partecipazione che non riguarda solo Lucca, ma guardando i tabellini delle gare, e al netto di alcune eccezioni, sembra essersi diffuso ovunque, tranne appunto in qui pochi squadroni multimilionari globalizzati. Poco male, si potrebbe pensare, non è che il mondo è migliore o peggiore se la gente va allo stadio o segue il calcio, ma invece a noi fa una grande rabbia, oltre che una immensa tristezza. Questo perché non è che manchino i seguaci del pallone, anzi, è forse l'argomento di dibattito più diffuso del paese e non c'è consesso in cui non si senta ragionare di Cristiano Ronaldo, del futuro di Spalletti e di altre patacche giornaliere megamilionarie che riempiono il vuoto di concetti e di impegno che attanaglia questa società. Noi ci permettiamo di rabbrividire al pensiero che, due ore prima dello spareggio col Cuneo, ci siano stati più lucchesi ad ascoltare la conferenza stampa all'insegna del nulla per l'abbandono di Allegri alla Juventus rispetto a quelli che poi sono venuti allo stadio. Molti peraltro fanno parte di quella schiera di appassionati che pochi anni fa era capace di portare, almeno nella partite decisive, dodici, dieci o ottomila persone a tifare rossonero, mentre oggi dobbiamo entrare e vedere i gradoni deserti.

Non è nostra intenzione smettere di urlare contro questa che consideriamo una forma di decadenza del pallone e che a nostro avviso di questo passo trasformerà il 'gioco più bello del mondo' in uno show qualsiasi, senza alcun significato identitario e di socializzazione e, come in un'Africa nera globalizzata, vedremo i poveri (qua rappresentati dalle realtà locali) correre dietro a una sfera di cuoio grezzo indossando una orribile seconda maglia senza alcuna attinenza con storia e tradizione, partorita da qualche multinazionale in cerca di gonzi che tutti gli anni si comprano a cento euro il nuovo cencio per far vedere agli amici che lo possiedono.

Se il calcio ha un senso che va oltre l'attività fisica dello sport, possiamo in particolar modo trovarlo a Lucca, dove le Libertas, senza sostegno economico, senza società e probabilmente senza futuro, continua a inseguire il suo sogno di dignità col sostegno affezionato e emozionato come poche altre volte si era visto prima degli ultimi nostalgici del calcio che fu. Basta ascoltare la rabbia, l'arroganza e la frustrazione che sfocia dalle parole dei protagonisti milionari di questo gioco e confrontarla con ciò che stiamo vivendo in questa stagione per rendersi conto che la ragione della bellezza del pallone è qua e non nei massimi livelli ossessionati da bilanci e risultato. 

Per niente al mondo vorremmo barattare un Martinelli che si innamora della sua nuova squadra e si impegna al massimo ogni domenica, ma rimane capace di scappare a metà settimana per andare a seguire in curva la squadra della sua città, con uno di quei sedicenti campioni che sembrano giocare per loro stessi senza alcun tipo di legame con la maglia che indossano se non quello economico. Il calcio che i padroni del vapore vogliono creare è quello che si sta vedendo a Roma, dove in pochi anni si sono buttati via con fastidio tutti i giocatori che erano stati capaci di entrare in simbiosi con la tifoseria. Se credete che il motivo di queste scelte sia stato che tali calciatori erano bolliti come i dirigenti raccontano siete fuori strada: la ragione di queste iniziative è che il sentimento che certi giocatori riescono a creare negli appassionati rende più difficile la gestione spregiudicata del raggiungimento del profitto, perché i sentimenti sono sempre in contraddizione coi principi dell'utile e del risultato economico. 

Dove l’idea totalitaria del neoliberismo diventa imperativo, l'aridità emotiva diviene il principio dominante. Quindi, ‘lucchesi assenti’, se siete amanti del calcio ricordatevi che il Porta Elisa e questa Lucchese sono il luogo e la squadra in cui potete ritrovare i sentimenti che andate cercando inseguendo quegli squadroni che poi vi regalano solo rabbia e frustrazione. In Inghilterra, dove il calcio-business ha da tempo rimpiazzato il calcio-tradizione, molta gente sta iniziando a comprendere il declino verso cui la nuova realtà industriale sta conducendo questo gioco e inizia ad assumere dimensioni rilevanti il fenomeno dei nostalgici che per ritrovare il clima e l’ambiente del calcio popolare parte dalle grandi città per andare a vedere il calcio di provincia e ritrovare la dimensione romantica e passionale di un tempo. Alcuni vengono a vedere la ‘serie C’ italiana, così mentre molti ex tifosi rossoneri snobbano questa meravigliosa squadra, da Portsmouth giungono messaggi di stranieri che se sono infatuati e soffrono per l’esito dello spareggio al punto da esser già pronti a imbarcarsi su un aereo e seguire la Pantera a Cuneo insieme ai meravigliosi ultimi sentimentali del Porta Elisa.

Scusateci per lo sfogo, ma facciamo ancora fatica a rassegnarci a una maggioranza sportiva che gioisce e si appassiona per una plusvalenza invece che per il legame che si crea con la propria squadra.



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