Rubriche : romanzo rossonero

Jingle Balls

martedì, 25 dicembre 2018, 20:47

di simone pellico

Non ho visto la partita. Non m’hanno fatto entrare. Una domenica complicata da capriole fra i caprioli, l’arrivo a fine primo tempo, il parcheggio tattico dietro Ragioneria. Faccio per tagliare. “Non si può passare”. Il piazzale lato gradinata davanti a me è un deserto prenatalizio. Vedo la biglietteria in trincea ma non posso raggiungerla, oltre lo steccato delle transenne, oltre il guardiano dalla pelle scura e il sorriso bianco. Ha modi affabili e ripetitivi. “Non c’è nessuno. La biglietteria è lì, non mi far fare tutto il giro, potrei perdermi, svenire, morire. Fammi passare è finito il primo tempo, ma che proteggi? Ma sono l’unico che vuole entrare a vedere ora una partita del genere. C’hai il gilet giallo, dovresti stare dalla parte del popolo. Dalla parte mia che voglio attraversare questo deserto per pagare dieci euro ed entrare in un altro deserto. Dai, fammi passare, nessuno ci vedrà, vedrà, vedrà…”. Non cede. Non mi fa passare. Faccio il giro mormorando una litania che tanti conoscono. Più Jingle Balls che Jingle Bells. 

Quando finisco il periplo di Ragioneria non ho ancora terminato di mormorare. E non smetterò nemmeno davanti alla biglietteria, perché è chiusa. Le feritoie sono sbarrate, nessuno risponde al mio bussare. Continuando a mormorare come un gatto che fa le fusa vado all’altra biglietteria. Non è più tardi di altre volte, il primo tempo è finito or ora. Non capisco. Cammino, arrivo di là. Ma anche qui la biglietteria ha gli occhi spenti. Nessuno risponde, nessuno vuole i miei dieci euro. Probabilmente il Porta Elisa è pieno, non ci sarà più posto. Forse non c’è l’Albissola ma il Brasile, mi devo essere sbagliato. Torno all’ingresso della curva, trovo un altro gilet giallo. Trovo supporto morale, ma non un biglietto. Con la radiolina chiama qualcuno che non risponde. Chiama un telefono che non suona mai. 

 Vorrei dirgli “E’ Natale, fammi entrare”. Poi mi ricordo che siamo nella città del Grinch, dalle luminare post sovietiche e post nucleari. Nella classifica delle città più tristi sotto le feste Lucca viene dopo la Sarajevo del 1992-95. Ci sono più addobbi in un autogrill in costruzione che in piazza Anfiteatro, dove penzolano desolate e desolanti delle palle impiccate a due fili. Due fili due. In Fillungo lo spirito natalizio brilla fino all’ora dell’aperitivo, dopo le luci si spengono, per lasciare spazio a una riflessione interiore sul senso spirituale della festa. E alla depressione. Piazza del Duomo non cede al ricatto commerciale e non sfodera nemmeno un lumino. In San Michele il cubo giocattolo regge da solo tutta la scena. In piazza Grande il gran finale, con le giostre surreali, la pista di pattinaggio in vitro, il mercatino degli orrori e la zingara che ti fa i tarocchi. Solo lune nere.

 Se avessi perso l’occasione per entrare per l’ultima volta al Porta Elisa? Se il sindaco volesse mettere l’obbligo di firmare una dichiarazione anche per andare allo stadio? Del resto è del Comune. E per il Comune quello che è suo non è comune. E’ da dare a quelli ‘buoni’. Più Befana che Babbo Natale. Più carbone che regali. Se toccasse dichiarare di non essere anti-pisano per andare a vedere la Lucchese? Con questi chiari di luna non si sa mai, potrebbe pure succedere. Del resto Lucca l’autonomia l’ha persa da tempo e vive nel paradosso. Mentre in tutta la Toscana i soviet vengono spettinati ad ogni elezione, qui alzano il tiro. Mentre allo stadio hanno tolto la tessera del tifoso, la giunta crea la tessera del cittadino per usare gli spazi comuni, quelli che mantieni con le tue tasse. Ci mantieni pure quelli che inventano queste cose, tanto per esaltare il paradosso. Così non basta rispettare le leggi: ci vuole la “patente democratica”. Magari a punti, con cui poter fare la spesa alla Coop. Di Pisa.

Perché la discriminazione è una brutta cosa, ma se ci metto sopra un po' di glassa di retorica democratica non solo è buona, ma è giusta. E’ santa. E mentre la Lucchese affonda in campionato, si fanno i conti e si vede che anche senza penalizzazione non si volerebbe. E con la penalizzazione i rossoneri sono ultimi in classifica, schiacciati da una forza di gravità che rischia di affogarli. C’era un progetto una volta, un gioco e la speranza di risorgere come Araba Pantera. Ora gli anelli della catena si stanno sfilando uno ad uno, mentre le lancette dell'orologio girano come il timer di una bomba ad orologeria, mentre incombe il rischio di una compravendita societaria che ci mandi definitivamente nell’album dei ricordi del calcio che conta. E la città, sotto le feste, semplicemente manifesta tutta la bruttezza di cui si sta nutrendo ormai da troppo tempo.



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