Rubriche : romanzo rossonero

Fanucchi, fra sogno, realtà e nuovi veleni

lunedì, 30 ottobre 2017, 16:28

di alessandro lazzarini

Al Porta Elisa se ne sono viste di tutti i colori, adesso anche lo stadio invaso dai tifosi della Carrarese che si presentano a Lucca in massa, quanti non se ne erano quasi mai visti nemmeno allo Stadio dei Marmi, e col loro entusiasmo potranno dire per una sera di aver giocato in casa in quel di Lucca. D'altra parte anche loro vantano una grande scuola calcistica che non si è mai tradotta in prestigio per la prima squadra e per una volta possono sognare sulle ali di grandi vecchi come Tavano, Marchionni e Coralli, guidati da un allenatore di serie A che ha accettato gratis la panchina pur di rimettersi in gioco nella sua città. Vengono da due vittorie, vedono da vicino la vetta, mica come i poveri tifosi rossoneri, che pochi giorni prima han visto la propria squadra del cuore dominata dall'ultima in classifica e sono ammorbati da una opinione pubblica che non parla d'altro che di cessione della società e che per ragioni strumentali fa letteralmente 'd'ogni spettatore un fascio'. Ma di questo parleremo dopo, prima c'è una partita da raccontare.

Le squadre sono accolte in campo dal saluto a Dante Unti, un reduce dai campi di prigionia nazisti chiamato in scia allo scandalo per il fotomontaggio di Anna Frank a opera dei tifosi laziali, quindi il minuto di silenzio in memoria della ragazzina morta di tifo nel lager di Bergen-Belsen interrotto dai cori delle due curve. Anche su questo ci torneremo in coda ai fatti che riguardano il calcio giocato. Poi finalmente il fischio d'inizio nel tripudio degli entusiasti tifosi ospiti e dei come al solito depressi ma stoici appassionati rossoneri.

Da subito si capisce che la Libertas ha da farsi perdonare la gara di Gavorrano, così Arrigoni e Fanucchi prendono per mano la squadra e per una decina di minuti dominano i carrarini in maglia gialla, facendo però come al solito fatica a concludere a rete. Capita però che anche la Carrarese passi la metà campo, la prima volta che lo fa è per una innocua manovra sulla destra difensiva lucchese premiata dall'arbitro con il fischio di una punizione che pare non esserci e sui cui sviluppi un ospite trova la deviazione vincente: primo tiro in porta e gol, 0-1 e palla al centro. La Lucchese riparte, un po' meno convinta ma riparte. Solo che il gol non arriva e al minuto venti gli ospiti passano di nuovo la metà campo guadagnando un calcio d'angolo. Schemino facile facile e palla nel sacco: 0-2 e palla di nuovo al centro.

Ora, lo sappiamo che non ci siete abituati ma a volte anche noi ci sentiamo di gettarci in una breve disamina tattica; la Carrarese non è una corazzata, il bravissimo Lopez la deve aver studiata e la Lucchese gioca un calcio vagamente diverso dal solito, cioè spesso lancia lungo a cercare di scavalcare la linea di difesa che Silvio Baldini fa giocare molto alta, cioè lontana dal suo portiere, per un calcio propositivo e moderno ma rischioso. Si vede che la scelta paga, ogni calcione dietro la loro difesa sembra divenire una potenziale occasione, ecco così che appena il gioco riparte dopo la seconda doccia fredda come se niente fosse il centravanti rossonero De Vena viene spedito solo solo davanti al portiere dei gialli con una palla veramente comoda. Intendiamoci, ogni gol si può sbagliare, ma l'occasione che capita al piccolo centrattacco rossonero è troppo importante, sotto di due reti segnarne una subito sarebbe capitale, ecco perché il modo in cui il 18 'sbuccia' il pallone è davvero inconcepibile: palla fuori di dieci metri, Gialappa's che per fortuna non guarda la serie C, stadio nell'angoscia sportiva più nera e squadra falcidiata nel morale. Inizia un quarto d'ora di confusione rossonera in cui la Carrarese rischia un paio di volte di segnare il terzo gol, ma quando la fortuna manda certi segnali andrebbero colti e Baldini è arrogante, non sa interpretare questi segni del destino e così, pur avanti di due reti e consapevole di avere una squadra che è una banda del buco difensivo, quando si ritrova la punta Bentivenga infortunata non fa quello che avrebbe fatto ogni allenatore oculato di categoria, cioè inserire un difensore e neutralizzare la Lucchese che già in attacco è completamente evanescente, bensì butta dentro l'ex Coralli, evidentemente per andare in goleada e suggellare la storica trasferta dei suoi tifosi. Invece la ruota gira, la Lucchese trova un calcio d'angolo da cui Arrigoni insacca direttamente la palla in porta; quante volte succede di vedere un gol diretto dalla bandierina? Poche. Ecco scompigliato il tavolo, adesso l'entusiasmo è rossonero, mentre la difesa colabrodo è ancora quella ospite, quindi c'è partita.

Riposo. Al rientro in campo Fanucchi, il lucchese col numero 10 che è spettacolo per chi ama il calcio suona la carica. I padroni di casa partono all'arrembaggio e nel giro di due minuti falliscono altri due gol facili facili, poi il solito Arrigoni, che deve fare il mediano e svolgere anche il compito degli attaccanti che non segnano nemmeno se scappa il portiere, pareggia i conti assistito da Cecchini. Ce ne sarebbe già abbastanza per essersi divertiti a dovere, ma se 22 ragazzoni che inseguono una sfera da oltre un secolo appassionano miliardi di persone, un motivo ci deve pur essere e non possono certo essere le nevrosi e le polemiche che ogni giorno si associano al pallone. Il motivo è Fanucchi, che incarna quel tipo di giocatore che è un surrogato di talento ed intuizione che accende la magia che in un istante trasforma il gesto agonistico in arte: solito lancio dietro la difesa, pallone fermato in volo, un tocco morbido a palleggiare sopra la testa del difendente avversario che resta ipnotizzato, il cosiddetto sombrero, piatto al volo alle spalle del portiere che si tuffa invano ammirato.

E' grazie ai Fanucchi che il calcio diventa sogno, l'artista che compie quell'impossibile che accende la fantasia e entra nell'immaginario: è così che il bambino torna a casa, prende qualcosa di rotondo e fa di se stesso il numero 10 che in un secondo meraviglia la platea e completa l'epica rimonta. L'abbiamo fatto tutti. Da piccoli abbiamo arrotolato un mucchio di carta e siamo stati il colpo di genio di Maradona, una finta di Savicec, una serpentina alla velocità della luce di Ronaldo, abbiamo chiamato gli amici e trovato uno spiazzo in cui divenire gli eroi di un popolo. Così fanno in Africa i bambini con il Supertele, non hanno niente ma hanno sempre la maglia di un campione, qualcosa di tondo a cui dare calci e un sogno che non si può comprare, perché non è vietato a nessuno. Lo stesso in sudamerica nei cortili di Buenos Aires e nelle Favela brasiliane, dove si diventa ancora più artisti perché non si può dipingere col pennello ma solo coi mezzi di fortuna.

E' questa la magia del calcio, chi lo vuol capire la vive fino in fondo, chi non se ne vuole rendere conto invece diventa esagitato per motivi ideologici che niente hanno a che fare col pallone oppure, peggio ancora, giornalista avvezzo a piegare i fatti alle proprie tesi, lanciare allarmi e fare sensazionalismo. Già, proprio adesso che si dovrebbe ancora essere immersi nel sogno ci tocca risvegliarci trovando nella cronaca nazionale la presunta vergogna per il fatto che la 'curva' della Lucchese abbia disertato gli spalti per non assistere alla cerimonia che ha visto coinvolto il 98enne reduce Dante Unti, il tutto accompagnato da una foto dello stadio deserto visibilmente scattata assai prima del momento incriminato.

Si costruisce una realtà sulla scia emozionale di una notizia che fa da traino alle vendite, quella del fotomontaggio di Anna Frank, e si rafforza un pregiudizio generalizzato che vuole i tifosi della lucchese fascisti e cattivi. Ma come stanno le cose? Beh, le cose stanno in modo molto più complesso di quanto questi colpi bassi fatti a testa alta vorrebbero rappresentare. Insomma: la 'curva' della Lucchese ha boicottato il reduce? Non si sa, o meglio, la curva va riempiendosi sempre un po' all'ultimo momento in ogni partita, dopodiché può essere che 10, 20 o 50 persone abbiano voluto intraprendere questa dubbia iniziativa, ma queste persone non sono la curva, la curva è un settore dove ci stanno gli ultras, divisi in gruppi, e tante altre persone che la scelgono perché il biglietto ha il prezzo più popolare. Nel momento in cui Dante Unti è entrato in campo e al fischio d'inizio almeno l'80 per cento delle (poche) persone che avevano scelto di veder lì la partita era al suo posto.

Qualcuno forse ha voluto dissociarsi dalle iniziative della Lega, che non si sa bene per quale logica perversa ha pensato che dal fotomontaggio di alcuni tifosi laziali si dovesse passare a una pagliacciata pseudoeducativa con commemorazioni negli stadi, come se la gente non sapesse di cosa si sta parlando. Si poteva fare in modo diverso, invece che coinvolgendo Unti e cantando durante il minuto di silenzio per la giovane ebrea divenuta simbolo dell'Olocausto, perché ci sono fatti e valori umani che travalicano ogni ideologia, e siccome crediamo che la pietas che ha reso l'uomo così speciale sia ancor oggi un valore universale, allora ci vien da credere che un anziano che è memoria storica e una ragazzina seppellita coi suoi sogni siano figure che travalicano qualsiasi strumentalizzazione di parte. Se invece c'è chi, ma stentiamo a crederci, nel suo intimo prova disprezzo per un reduce di quasi cento anni e per una ragazzina portata a morte per motivi di razza allora non possiamo che provare pena per lui.

Insomma, ogni ipocrisia finisce per rivolgersi contro se stessa e le iniziative intraprese dal mondo del calcio in seguito ai fatti di Roma hanno avuto questo effetto: non c'è niente di più prezioso al mondo di persone che sono testimonianza storica diretta, queste persone vanno semmai fatte conoscere e portate nelle scuole, non strumentalizzate negli stadi o nella pubblica piazza. Lo stesso vale per le immense parole di Anna Frank, che non ci ha lasciato un messaggio ideologico o di condanna o partigiano, ma ci ha lasciato testimonianza diretta, con Louise Jacobson e altri, di come l'uomo immaginario non smetta di esser tale nemmeno nelle più derelitte circostanze, coltivando necessariamente sogni e desideri che appartengono all'umanità in quanto condizione che per motivi che nessuno potrà mai conoscere a un certo punto ha sviluppato una qualità fantastica che si chiama coscienza, sogni e desideri che inevitabilmente tutte le persone esistite nei secoli hanno provato e che quindi sono la prova tangibile di una uguaglianza cosmica che nessuna teoria della razza potrà mai scalfire. Chi prende, strumentalizza e rivendica queste figure storiche è miserabile quanto chi le infanga, perché non ha capito niente di quello che è il loro lascito all'umanità. 

Siamo certi che non siete riusciti a leggere fin qua, a se ci siete riusciti sappiate che avete dovuto leggere parole che non avremmo voluto scrivere, ma non ci siamo sentiti di far finta di non aver letto ciò che oggi riportano le cronache locali e nazionali. Noi avremmo voluto andar a prendere il caffè alla macchinetta e provare a fare un sombrero al collega con la pallina antistress, come Fanucchi, lo stesso numero 10 che al minuto '80, con la forza dei suoi 37 anni come vostro zio, si beve in velocità i giovanotti in maglia gialla e si fa oltre metà campo per mandare Bortolussi faccia a faccia col portiere avversario, ma l'avanti rossonero incespica sul pallone. Allora Fanucchi viene sostituito e non si sa se perché sia stremato o disperato per le invenzioni che i suoi compagni dilapidano, è così che mentre il genio lucchese abbandona il campo dalla gradinata qualcuno invoca il suo nome: è la prima volta in tre anni, ma vi sembra normale?

 



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