Rubriche : romanzo rossonero

Lucchese senz'anima e abbandonata dalla città vittima designata a Livorno

giovedì, 21 settembre 2017, 12:47

di alessandro lazzarini

Quando si alza il sipario e gli attori compaiono sul palcoscenico, le parti loro assegnate sono già note al pubblico: quelli in maglia amaranto sono chiamati a vincere per riscattare un popolo intero ferito, quelli in maglia bianca invece devono interpretare il ruolo di vittima sacrificale, triste e rassegnata. I primi sono il Livorno, i secondi la Lucchese. Il copione è chiaro ma in principio recitano meglio le 'vittime' e già al secondo minuto nell'area di rigore affollata basta una mezza finta di corpo di un avanti labronico per far scappare tutta la difesa rossonera e lasciare incredibilmente un uomo solo davanti all'ignaro portiere, quasi suo malgrado centrato dal pallone calciato da uno dei protagonisti che forse vuole regalare almeno qualche minuto di incertezza a una messa in scena che si compirà una ventina di minuti dopo, col gol che sarà il primo dei tre col quale i padroni di casa assolveranno il loro compito in una partita di calcio che non avrà mai storia.

Il contesto lo sappiamo, è quello del Livorno che torna sul proprio campo da gioco per la partita che fu rinviata per l'alluvione che dieci giorni prima aveva sconvolto la città portandosi via nove persone. Una tragedia troppo grande per poter essere affrontata in un racconto che parla di calcio, ma che anche grazie al calcio come momento di socialità permette alla gente che l'ha subita un'occasione di raccoglimento e di riscatto. I livornesi accorrono in massa allo stadio, l'incasso sarà devoluto alla città per rialzarsi, anche il loro presidente si ripresenta in tribuna dopo oltre un anno di assenza e dopo essersi appellato ai suoi tifosi invitandoli a partecipare "come se si giocasse contro il Pisa".

Alla sua data originaria la partita era stata presentata dai giornali con la prosopopea del 'derby' regionale, campanilismi inclusi, ma c'è poco da fare, all'ombra dei Quattro Mori ormai Lucca non la considerano proprio. Troppo orgogliosi loro, pensano in grande, il livornese è fiero della sua coloritura e la rivendica, sono nazionalisti nel senso genuino del termine. Il primo 'Lucca vaffanculo' si alza dalle tribune alla mezz'ora, umiliante.

Il lucchese quando si presenta si qualifica dicendo "sono di Lucca ma non sono il tipico lucchese", Lucca è assetata di mediocrità, non crede in se stessa e non si dà mai un tono attraverso se stessa e la sua storia, ma solo comprando eventi principeschi di cui non è protagonista ma semplice teatro. Da queste parti ogni manifestazione di fierezza è "nazionalismo d'accatto", bisogna defilarsi ed essere piccoli, forse retaggio medievale di quando la città doveva mantenere un profilo basso per non suscitare l'invidia dei vicini. Il calcio è lo sport che incarna il carattere della sua gente, così il Livorno ogni anno ha una squadra forte, deve lottare per vincere ed essere grande, la Libertas invece si arrabatta da comprimaria, poche ambizioni costantemente annaffiate dai pompieri che spengono i sogni.

Ne consegue che gli amaranto sono i favoriti e la Lucchese l'outsider che, però, non dovrebbe essere poi così scarsa, perché se anche i suoi valori tecnici non sono tali da immaginarsi di primeggiare, i suoi condottieri in campo e in panchina hanno più volte dimostrato di avere valori morali ben oltre la media. Però il contesto della partita non si esaurisce con queste note di colore, perché a Lucca ormai di gioco si parla sempre meno e sui giocatori rossoneri aleggiano vicende societarie che negli ultimi giorni hanno raggiunto toni grotteschi e anche preoccupanti, a partire da una nota della società, invero assai ridicola, in cui si annunciava di aver in sostanza pagato le tasse "malgrado il silenzio assordante dell'imprenditoria lucchese", fino alle più recenti esternazioni di alcuni soci che si lamentano di non ricevere aiuti economici dalla città e anche dal sindaco, che sarà pur vero che è afflitto da immobilismo cronico, ma non si capisce nemmeno bene cosa dovrebbe fare. 

Il quadro è questo: un gruppo di piccoli imprenditori lucchesi ha rilevato la società nei dilettanti e poi è stato affiancato da un imprenditore fiorentino con più possibilità, Bacci, il quale però ha sommato a una gestione tecnica discutibile anche la crisi del suo impero economico, crisi che avrebbe portato le Pantere a un nuovo fallimento. I lucchesi così hanno di nuovo preso in mano la società e fin da subito si sono eletti 'salvatori della patria con enormi sacrifici', il che è anche vero e di certo la città sportiva lo riconosce. Poi però il sogno di una sorta di cooperativa dell'imprenditoria lucchese a gestire la squadra di calcio non si è realizzato, quindi siccome di fatto a tenere in piedi economicamente il giochino è uno solo di questi soci, che però ci sta rimettendo troppo e vuole vendere, quel che si profila all'orizzonte è la cessione della società a cordate 'straniere' che nessuno capisce perché dovrebbero essere interessate a una squadra di calcio che ormai potremmo definire di provincia e ridotta da mille disgrazie sportive a un seguito di pubblico che non supera nelle gare ordinarie le 1500 persone, che peraltro come detto devono riuscire a far convivere la passione irrazionale con la castrazione di qualsiasi sogno.

Insomma queste storie di solito durano pochi anni senza gloria e poi portano a ricomprarsi il marchio e ripartire dai dilettanti, la gente lo sa, così come lo sanno i soci di minoranza della Libertas che vorrebbero evitare questo destino che sembra scritto ma non ne hanno i mezzi economici.

E' questo il clima che accompagna in campo i rossoneri in maglia bianca ed è per questo che è difficile guardare alla partita dell'Ardenza come a una partita di calcio vera, col suo colore e le sue gesta sportive: il calcio oggi è l'equivalente del mecenatismo medievale, lo chiamano industria ma è il divertissement dei signori o presunti tali. Il denaro, i mercati e la cosiddetta 'economia finanziaria' equivalgono oggi al 'nulla' che Michael Ende descrisse magistralmente ne 'La storia infinita': una sorta di nube grigia che toglie vita, anima e sogni a tutto ciò che investe e così sta capitando anche al gioco del pallone, che però resiste stoicamente almeno negli ideali delle persone che in massa lo seguono. Pochissime sono le società di calcio che riescono ad emanciparsi dal sistema del mecenatismo e a divenire macchina in grado di viaggiare col proprio carburante, per costruirle però ci vogliono anni e programmazione, la pazienza di attendere i frutti di un settore giovanile attentamente coltivato e la capacità di non cedere al falso mito del successo immediato per inseguire invece valori e principi. Tutte qualità che ai mecenati e all'epoca attuale fanno generalmente difetto.

Insomma la partita che avremmo dovuto descrivere non ha sportivamente avuto storia, ma non possiamo raccontarla come momento sportivo perché la sensazione è che le questioni contabili e burocratiche abbiano tolto l'anima alla Lucchese, la cui società ha coltivato un sogno che nella Lucca mediocre e assetata di mediocrità non era possibile: quello di essere produttore, e non solo palcoscenico, di un prodotto di eccellenza. Per farlo ci si è appellati a Marcello Pera e al sindaco Tambellini, ma è assai raro che chi è fra gli artefici di una certa situazione possa da un giorno all'altro divenire artefice della situazione opposta.      



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